Reason is Treason

Dopo due mesi di più o meno voluta assenza, una perla in diretta dal blog del Cloridrato.
 
Il fatto è che sia io che te siamo sicuri di avere la soluzione e tutti e due siamo visceralmente convinti che quella proposta dall’altro sia una cagata pazzesca. Ed abbiamo entrambi le nostre ottime ragioni per pensarla a questo modo: la conoscenza, l’esperienza, i numeri, la profondità delle rispettive cortecce cerebrali. Dunque siamo pari e pari dignità abbiamo: liberi pensatori all’attacco del problema del giorno o del secolo, gente che si rispetta senza stimarsi e che ride senza sorridere. C’è solo una cosa – una piccolissima – che nella sua maniera obliqua e discreta viene a salvarci dall’entropia ed a renderci diversi: io ho ragione, tu no.
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The “Ma Anche No” Philosophy

Li ho visti tutti, ma proprio tutti, così, d’un tratto, Buddha, Confucio, Luke Skywalker e Darth Vader, insieme a manichei, scribi e farisei.
E Gesù.
Che fumava.
Giocando a poker.
Online.
Su d’un Windows.
Però.
Ma non è uno scoop, tutt’altro, perché sarebbe stupido pensare che gli dei non ci somiglino.
E poi, fa più rumore la nostra, di storia.
Quel macello che dura lo spazio d’un mattino, su questa terra, quella che viviamo ogni giorno, in barba a chi ne fa un destino o un immutabile gioco di scatole cinesi o di confezioni di cioccolatini.
Se ne vedono tante, ma forse non se ne vedono mai troppe, e mai abbastanza.
Non parlo di donne, ma di vicende, esperienze, fatti, cose, persone, mixali per bene ed eccola lì, l’esistenza.
Io ne ho vissute e combinate parecchie, con la tenacia di chi avrebbe voluto scansarsele tutte, però questa è una partita diversa, è un altro campo da gioco, non è nemmeno lo  stesso sport.
E loro, loro, jedi e profeti e quant’altro, be’, erano là dentro, in una stanzetta buia, minuscola, forse un po’ squallida, poster occhialuti di trent’anni fa appesi alle pareti e tante, tante bottiglie vuote nella luce innaturale d’un televisore acceso, una finestra spalancata da cui entrava l’odore della notte, con l’unico sottofondo della voce di John Lennon.
Imagine there’s no heaven, it’s easy if you try…
Come in un loop perpetuo che si arrampicava sui muri, una nenia infinita che sapeva d’arabesco.
E loro, poi, loro niente, come se fosse tutto normale, niente inferno, siamo tutti fratelli, roba del genere.
Cose che se ci pensi impazzisci, ed urli e piangi e ridi.
O, forse, a forza di immaginare, ho creduto solamente fosse così.
Non mi sono spinto oltre, come spesso accade.
Che fottuto guaio, non andare al di là del proprio naso, spegnere lo spirito critico, fermarsi alle prime botteghe, come diceva un uomo saggio e bastardo, dopo vacui sguardi, dopo intense banalità.
Magari era tutt’altro, non so, un ampio salone vista mare adornato da svastiche o falci e martelli, pieno di prostitute e faccendieri e macellai e quant’altro.
Però ho capito, ho capito tutto, in quel lampo lungo secoli ma durato appena un attimo.
Libero da ogni chiave, senza lucchetti o catene.
Ho carpito la filosofia dell’universo, di me, di te, di tutto ciò che di mortale c’è.
Senza bisogno di testi sacri, senza leggere nel grande libro dell’universo.
Ho montato l’impalcatura del paradiso terrestre, se c’è, se è mai esistito.
E, no, non c’entra l’indifferenza, stavolta, né rabbie antiche, né presunte alchimie.
Proprio no.
Perché è stato bellissimo, è stato come accarezzare la verità, pericolosa e sibilante come un proiettile, è stato sconvolgente, semplicemente, ci crediate o no, più d’un terremoto, più d’una rivoluzione, più d’ogni altra cosa che vi possa mai passare per la testa.
Là dentro c’era la luce di Triple Rock, sì, proprio lì, la soluzione d’ogni problema, il tocco d’artista, il colpo di genio, in quel guazzabuglio di spade laser, yin e yang, statue di panzoni, videopoker e secolari precetti.
Perché non esiste solamente un tutto bene o un tutto male (del tipo “A. è una troia, C. è una stronza, D. è egocentrica, F. è un idiota, G. è un genio, I. è una cretina, L. è menefreghista, M. è ottusa, S. è la perfezione”, e così via), ma un tutto bene ed un tutto male (“A. è una troia, ma sa fare anche altro; C. è una stronza, ma non solo; D. è egocentrica, ma disinteressata; F. è un idiota, ma abbastanza bravo; G. è un genio, ma ogni tanto sbaglia anche lui; I. è una cretina, ma qualcosa di buono ce l’ha; L. è menefreghista, ma sa farti sentire speciale; M. è ottusa, ma impertinente; S. è la perfezione, ma ha infiniti difetti”).
Qualsiasi cosa siate, lo siete, ma anche no, in tassi variabili.
La vita è tutta una questione di percentuali.
Mica pizza e fichi.
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È perché siamo fatti d’acqua che le scariche elettriche ci attraversano così bene

A chi non ricorda niente né di fisica né di Storia, basterà semplicemente ricordare che una leva, oggi, non basta più a sollevare il mondo, nonostante i proclami ed i reclami dell’ufficio stampa di Archimede, “l’uomo che in acqua vi tiene a galla”, come recitava un famoso spot pubblicitario.
Certo, io, che sono semplicemente un cazzone con la penna, mi guardo bene dal dire che il genio siracusano abbia preso un abbaglio in passato, o che fosse tempo per lui di cambiare gli occhiali che non poteva avere, ma, si sa, le cose col passar del tempo cambiano, sotto la spinta dei mutevoli pensieri della moltitudine.
In quanto ai singoli, com’è altrettanto noto, solitamente è difficile che riflettano, si scervellino o cambino punti di vista, se non per particolari forme di induzione o di costrizione, ma di questo parleremo a breve.
Per adesso ci basti sapere che, nell’universo odierno, costellato da pianetini bellicosi fra i più svariati, in pieno stile Futurama, sono ascesi alle sale dei bottoni che contano una fitta schiera di filosofi filosofeggianti che inneggiano alle boutade di Don Matteo, additando al contempo gli europei (ed i loro succedanei a stelle e strisce) come la cancrena e l’origine di qualsiasi cosa (di brutto) possa mai esistere.
Forse anche l’Africa è stata creata nei salotti buoni del Vecchio Continente, con tutti i suoi problemi.
Certo è che, comunque sia, fra la mafia e la fame, fra le guerre civili e le rivoluzioni indipendentiste, la comunicazione degli uomini di qualsiasi colore, è diventata, improvvisamente, il regno del tramite, nello sfascio degli imperi del ricevente e del destinatario, ormai entrambe rilegati sullo sfondo opaco delle cose andate.
Ma se il mezzo è diventato il fine, no, non è colpa del governo, dei comunisti, del superenalotto o dei videogiochi violenti.
C’è di più, al solito, trame esageratamente complicate che non riusciamo né a vedere né a comprendere, storie da far invidia alle migliori puntate di Lost, senza finzione alcuna, però, né bei protagonisti da teleschermo, perché siamo noi, e noi soltanto, a fare da attori, da sceneggiatura, da palcoscenico, tutti insieme, e contemporaneamente.
Così capita che ci sia sempre troppo, dietro, quel dietro che sta sempre davanti, per potersi poi spingere oltre, più in là, nel mondo reale delle coscienze, nella realtà della conoscenza, perché nel gioco delle bende è sempre il più bravo a non vedere che conduce la partita.
Può darsi che sia tutta una parodia del “non c’è miglior sordo di chi non vuol sentire”, o il problema sta, semplicemente, nel fatto che non esistano nemmeno più i beati monocoli nelle terre dei ciechi.
Eppure ci sforziamo vanamente, o non ci sforziamo affatto, nel comprare cannocchiali, occhiali, binocoli e vari altri ammennicoli che migliorino le nostre capacità visive.
A seconda delle circostanze e delle persone, ovvio.
Si potrebbe pensare facilmente ad un circolo vizioso, allo sporco ostinato, ad un ostacolo insormontabile, ma io parlerei piuttosto di un difetto genetico, di una comoda eredità del tempo che non si vuole mai mutare, per ovvietà, banalità, paura, noia, a meno che non ci si mettano di mezzo il caso ed il suo strettissimo parente, il caos, mantenuti perennemente in un precario equilibrio da pericolosi giochi di restauro e ristrutturazione, nonché da nuovi, stupendi, insindacabili giudizi della ragione.
È in questo modo, ed in questo modo soltanto, che si cambia opinione sulla gente, su di noi o su di loro.
Non c’è altra via, anche se, in realtà, ciò non avviene mai: l’unica operazione effettivamente compiuta durante l’intero processo di trasformazione, nonché l’unica dimostrabile, è l’aumento del senso egotistico, lontano cugino del più ben sano egoismo.
In soldoni, soldini, dollari ed euro e yen e quant’altro: per perversi ed imperscrutabili meccanismi della mente, quando ci dicono “bravo” crediamo effettivamente di esserlo, gonfiando le nostre stime effettive anche se la base potrebbe essere zero, mentre, se ci dicono “stupido”, allora pensiamo di essere bravi ugualmente, per difesa più che per competenza, credo.
Ci sono poi categorie immutabili o facilmente tendenti allo scadimento, senza poi possibilità di recupero, con tanto di trucchi ingegnosi per far credere il contrario, sfruttando sempre il medesimo principio di cui sopra, ma dall’alto verso il basso o dal basso verso l’alto, sul cammino da santo ad assassino o da carnaio ad angelo, funziona sempre e comunque allo stesso modo, e, generalmente, una volta stabilita la tendenza, la direzione della freccia raramente muta verso, se non, appunto, per caso o per caos, entropie futili che solitamente non durano perché patine superficiali, qualora involvano nuove caratteristiche o brillanti qualità, veli pronti ad essere spazzati via dal forte vento dei fatti, e per prove concrete il niente resta niente, il tutto non perde pezzi, le troie non mutano d’animo ed arte ed amore pare non stiano più insieme, nonostante ogni alambicco ed ogni presunta verità di cambiamento.
Insomma, cambiano o permangono le opinioni, non le persone, bande di sciatti che aspettano gli stravolgimenti della vita con la stessa noia di chi aspetta il tram, e parlano, parlano, o citano, o ridono come idioti, ed il perché si capisce, fin troppo facilmente.
Però, chissà, forse io, in un giorno soltanto, distrattamente, ho voluto dire addio alle cose imprecise, perdendomi fra le strade del mondo e le stelle del cielo, correndo via da un posto senza nome senza sapere dove e quando finirà questa mia eterna fuga, ricordando e rivivendo una strana sensazione d’assedio, di accerchiamento, di pressione costante e definitiva che mi schiaccia contro le pareti di stanzoni immaginari, e tutto è simbolico, limpido nell’indicarmi la strada per andarmene, quando invece esito, e mi dico di aspettare, di vedere come sarà, sarà un disastro, sarà non vedere gli amici, e vederli disfarsi, e sentirli disperati, sarà litigare e dimenticare perché si litiga, prima di iniziare, sarà abituarsi, scoprire che tutti portiamo dietro lo stesso mare nero, quella massa d’acqua che non si può nominare, e le frasi inopportune, le brutte figure ed i crolli che emergono la mattina dopo dalla memoria che funziona a scatti tra fissazioni e gelosie, quel maledetto archivio che tento in ogni modo di sabotare, vanamente, e faccio sogni ricorrenti, fuori fuoco, e mi sveglio senza capire, e senza più orizzonti.
 
“Tu non sei cieco, scopri i tuoi occhi e te ne renderai conto: potrai guardare e giudicare”

 

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Don Francisco de Quevedo

“Come va con il memoriale?” si interessò Vicuña.
Il poeta si stava asciugando la bocca con il dorso della mano. Qualche goccia di vino gli era caduta sulla croce di Santiago ricamata sul petto del giubbetto nero.
“Credo”, disse, “che Filippo il Grande ci si stia pulendo il culo”.
“Consideralo comunque un onore” rilevò l’Avvocato Calzas.
Don Francisco ghermì una nuova brocca.
“Ad ogni modo”, fece una pausa mentre beveva, “l’onore è per il suo culo reale. La carta era buona, di quella da mezzo ducato la risma. E sopra c’era la mia migliore calligrafia”.
 
(A. Perez – Reverte)
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Dalla Donna Elastico all’Uomo Schermo. Evoluzione di un Paradigma

Da sunofyork, una donna da conoscere, l’ennesimo, improvviso, lampante paragone azzeccato.
Solo tante simpatiche coincidenze o, come nello spot di un famoso snack, “c’è sempre qualcosa dietro”?
 
 
Mesi fa, quando mi trovai a parlare del ruolo chiave dei suspiciously specific denials nelle relazioni sentimentali, non potevo immaginare che ben presto sarebbe toccata a me la mia bella fetta di dissimulazione. Come dire, se con la simulazione me la sono sempre cavata egregiamente, con la dissimulazione fino ad ora non avevo mai avuto niente a che fare.
Se mi interessa qualcuno intraprendo una logorante guerra di posizione, lo lavoro ai fianchi, gentile ma risoluta come un tir, mai invadente ma ferma nei miei propositi, e alla fine me lo prendo per sfinimento. A che pro farmi fare tutto questa fatica se lo sappiamo entrambi che alla fine capitolerà, è una domanda ad oggi rimasta irrisolta – sarà parte di qualche gioco bislacco del tipo "tit for tat" (aka gioco della ritorsione equivalente) del tipo: tu imperverserai nella mia vita come una novella Attila per qualche anno, almeno concedimi di tenerti sulle spine per una settimana. E vabbè, c’ha pure ragione il poraccio.
Fatto sta che, in vita mia, non ho mai avuto un vero rifiuto, e non lo dico perché sia una gran donna (in quel caso forse sarebbero gli uomini a tentare di sedurmi, non viceversa): semplicemente fino a poco tempo fa lo stalking non era reato. Inoltre con gli anni si impara a conoscere i propri punti di forza – ripetersi ogni giorno il mantra "beato chi me pija" aiuta molto – ma soprattutto le debolezze del proprio target e ad aprirsi una breccia attraverso di esse (i primi a cadere sono gli uomini di mezza età, care mie, i più difficili i trentenni, ma avremo modo di parlarne prossimamente).
Comunque, torniamo a bomba: mettiamo il caso che, per la prima volta, vi troviate a perdere la testa per qualcuno che sai benissimo non potrai avere per un bel pezzo. Pazienza, non perdete la testa. Essere troppo assidue nel tentativo di sedurlo potrebbe risultare asfissiante (ve lo fate scappare), tirarsela troppo e allontanarsi potrebbe fargli credere che non siate davvero interessate (ve lo fate scappare-bis). Siate dunque assertive nel palesargli il vostro interesse e poi, come fece Dante, trovatevi un Uomo-Schermo (o più uomini-schermo).
L’Uomo-Schermo assolve a una tripla di funzioni che spiegheremo, per semplificarci la vita, attraverso il ricorso alla teoria dei giochi, le relazioni internazionali e le economie di scala.
– effetto del dumping: se ti svendi con l’uomo schermo, non rischi di perdere la dignità con il Prescelto – ossia, eterodirigi tutti gli errori che commetteresti con la tua Beatrice, pregiudicando la vostra relazione;
– effetto del cartello Opec del 1975: i tuoi spasimanti fanno cartello e le tue quotazioni schizzano in alto (insieme alla tua autostima) – ossia la teoria secondo cui, più gente ti sta dietro, più sarai appetibile agli occhi degli altri. Attenzione però a non marciarci troppo o si rischia di passare per l’allegrona di turno;
– effetto del gioco a somma zero: il Prescelto si nega, tu, frustrata, diventi una bestia e sfoghi le tue frustrazioni usando l’Uomo-Schermo (U.S.) come punch-ball. Con questo inneschi una spirale karmica binaria: la assoluta devozione nei tuoi confronti dell’U.S.- che ti risarcisce in parte della sofferenza causata dal Prescelto – e il desiderio da parte del tuo U.S. di trovarsi una D.S. (Donna-Schermo) da bistrattare come tu hai fatto con lui.
Il tutto potenzialmente può reiterarsi all’infinito, fino al momento in cui un U.S. trattato male da una donna scopre chi è il Prescelto e lo aspetta sotto casa con una mazza chiodata, facendo la quadratura del cerchio.
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Vacanze Romane

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Il Pescatore di Arance

È arrivata l’estate, e sai che novità.
Quando ero al liceo, e non sono passati poi secoli, ti prendeva veramente la voglia di frescura, sembrava arrivasse, finalmente, la meritata tregua dalla matematica, dai compiti a casa, e cose così.
Finiva tutto lì, l’ultimo giorno di scuola, un mezzo saluto a tutti, al banco scarabocchiato, alle sedie vuote, persino a qualche professore, e stop, arrivederci, andate tutti a quel paese, andate tutti in spiaggia, fino a settembre c’è speranza, amen, ci siamo sopportati nove mesi, ora basta.
Oggi, invece, non riesco a trovare una pausa fra il prima ed il poi, i libri, le idee, i pensieri, i dubbi, i visi, tutti sotto l’ombrellone, alé, la buona compagnia, ricordo solo che una volta non era così, provo a lottare, mi arrendo, ho perso.
Qualche Ferragosto fa, davvero, non ricordavo proprio di esser parte di una classe, per quanto bella e scalcinata che fosse, non pensavo minimamente che esistesse una cosaccia inutile chiamata matematica, mentre adesso, seppure sia ormai in pausa forzata da mesi, continuo ad essere uno studente universitario aquilano a tutti gli effetti, gradi, oneri, onori ed annessi e connessi, nella buona e nella cattiva sorte, in salute e in malattia, a gennaio come a giugno come a novembre, finché laurea non ci separi.
Poi diventa pure peggio, ma non ci voglio pensare, non ora, almeno.
Per smuovere un po’ le acque stagnanti (putride?), comunque, tutto questo può variare, ma mica tanto, certe facce (soprattutto quelle di cazzo) non le scordi, certi frasi ti girano nel cranio e non vogliono uscire né dalla bocca, né dalle orecchie, né da qualche altra parte, perché il copione, alla fin fine, quello è, e quello resta, inutile che ti disperi tanto, cocco di mamma.
Anche con la fidanzata nuova di zecca, o con la macchina nuova che hai usato per acchiapparla, o con il portafogli gonfio, se sei scemo, se sei bestia, se sei inquieto, se sei bello, se sei qualsiasi cosa, una troia, una merda, che ne so, definitevi, un qualcosa_random andrà benissimo, non hai trovato la bacchetta magica, puff, i topini e Cenerentola. O inizi a camminare, di buon passo, fino all’affanno, per cambiare sul serio la testa che ti ritrovi, o resti al palo. Sempre. Per i miracoli ci vuole un bel po’ d’allenamento, altrimenti crescerebbero sugli alberi.
Bella storia, eh?
Ci credo, non ci credo?
Ma che t’importa, se per te sono sempre lo stesso, e può anche darsi che sia vero, qualche mese fa avevo i capelli lunghi, ora no, ora ho il fegato, il cervello ed il cuore spappolati, proprio come ieri, e proprio come ieri sembro non imparare mai dai miei errori, e cerco ancora le arance sul fondo del mare. Visto? Uguale, uguale, uguale. Identico. L’equazione è facilissima, non sforzarti nell’immaginare qualcosa di diverso, come faccio io, che appiccico etichette nuove a destra e a manca, oh, mannaggia a me ed a quando cambio idea, troppo, troppo spesso. Ma è così bello, che vuoi farci?
E sempre così, e colà, e coca-colonization, che è l’unica cosa simpatica mai imparata in vita mia, fra un disco e un fischio, fra incendi e vecchie fiamme oramai spente, sole, mare, finti turisti, finte vacanze, il posto è sempre lo stesso, solo qualche abuso edilizio in più, il periodo pure, effetto serra permettendo, ed io sono cambiato, sì, pure quest’anno, o almeno credo, ho altre trecentosessantacinque tacche sulla pelle, prigioniero dell’isola misteriosa, prima incasinato, adesso forse anche di più.
Ora è tutto un casino, in questo casinò.
Ho puntato sul cavallo sbagliato, quello terremotato, lo so, ed ora che son libero da quell’ingombro altrui che l’anno scorso mi soffocava (o erano le mie mani a serrarsi intorno al mio collo? Lo so come vanno certe cose) faccio a pugni col mio, di mondo stupido e strano, io che son piccolo, magro, smunto, quasi, vero, ma pesante, tanto, e sono persino ingrassato, a forza di non saltare pasti, il cioccolato per intenerirmi, addolcirmi, zuccherarmi, e le piadine che mai più mangerò, perse nella notte dei secoli della mia dieta incivile, sepolte nel banco frigo della Coop del Torrione.
Fa male? Cosa? Il cibo, il ricordo, o tutto il resto?
La Coop, in fin dei conti, non dimenticarlo, sei tu.
Che strazio, se di panini scazzati non mi sazio, se non ho scuse da inventare per cose stupide evitare, se le rime hanno poco senso, come tutte le altre righe, come ogni singolo giorno, non c’è più un “lì” invalicabile dove ho spedito la mia vita, dove io faccio il giudice, il presidente del consiglio, il poliziotto, il senatore, il papa e l’eretico. Manca un lavandino dove buttare la cicuta, lo scudo per parare qualche freccia, un lontano dove starsene beatamente alla larga da qualsivoglia cosa non vada a genio.
Va bene, ok, non sarà molto maturo tutto ciò, anche se, insomma, paragonato a certi altri frutti tanto acerbo non pare proprio, però, oh, certe cose ti infiacchiscono subito, ti tritano le palle e le mettono nella macedonia, ed allora perché sorbirsele per forza? Ora vi faccio contenti, mentre scoppia il cervello, sfoggiando virtù, e mi esibisco in virtuosismi della santa, benedetta pazienza, così per il prossimo sandalone su Ercole sarò pronto, sarò protagonista, sarò totalmente scoglionato, ma anche no, sarò forte, giusto?
Ecco, alla fine potrei dire sia sempre il solito b-movie, avvilente, squallido, alienante, noioso, monotono, ripetitivo, ma non è così, davvero, a parte i chili in più sono cambiate tante cose, oltre al perdere ed all’aver perso, potrei dire sia sempre il solito film, stessi personaggi, stesse situazioni, rimontato in maniera diversa, ed invece no.
Qualcosa di diverso c’è, non è proprio stessa spiaggia stesso mare, abbiamo un fiocco rosa ed uno azzurro nelle scale di questo condominio di periferia, e mi piace l’idea di questa vita che nasce e che cresce nella più completa ingenuità, ed a me mancano i tumulti dell’animo, le domande senza risposta, i sogni assurdi, scarseggia persino la delusione, mi entusiasmo per niente ma non vado mai fino in fondo, altro che incapace, o artista, proprio non voglio, forse ho voglia di lasciare aperta ogni via possibile, e non muovo foglia, assorbo tutto e tutto passa, a colpi di spugna e di rabbia e di cancellino, come al liceo, e non trovo un filo logico per tutto questo, se non il sapore dolciastro e velato dell’amarezza.
È arrivata l’estate, passerà.
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Gli “Archivi di un Fenomenale Agosto” presentano “Intervista al Signor Black”

I: Signor Black, ci conceda una parola.
B: La ascolto.
I: Dicono lei sia un idiota. È la verità?
B: Posso astenermi dalla replica?
I: E’ maleducazione rispondere ad una domanda con una domanda.
B: Ha ragione, mi perdoni. E probabilmente non ha torto neanche nell’affermare la mia idiozia.
I: Quindi lei dà adito a queste maldicenze?
B: Ci si arrende, di fronte all’evidenza.
I: Perché?
B: Perché non sono uno di quelli che si illude di non sbagliare mai.
I: Dice?
B: Senz’altro. E poi, chi mi dà addosso gode della mia più incondizionata fiducia e stima.
I: Possiamo chiederle il nome di questa persona?
B: E’ mia sorella. Di chi dovrei fidarmi, se non di lei?
I: Forse della polizia, o della mafia?
B: Anche, ma non è questo il punto. Con lei c’è un rapporto particolare.
I: Ad esempio?
B: Mia sorella dice di essere da sempre affezionata al sottoscritto. Guai me lo dicesse uno sbirro.
I: Tutto qui?
B: No. Solitamente chiama anche all’una di notte per chiedere i firmatari della pace di Vestfalia.
I: Però! Sono soddisfazioni, non è vero?
B: Non le dico. Non c’ho dormito tutta la notte.
I: Esagerato!
B: Sa, è un piacere infinito che va goduto fino in fondo, dal tramonto all’alba.
I: Piacere infinito che d’altronde sottolinea anche la sua conoscenza storica.
B: Vero. E’ un sapere di cui vado molto fiero, anche se non mi piace ostentarlo.
I: Immaginiamo.
B: Vede, è una cosa difficile da capire.
I: Ci spieghi meglio, allora.
B: Le pare poco spendere anni di vita concludendo il nulla, ed imparando ancor meno?
I: E’ proprio vero, la sua è un’esistenza veramente costellata di successi. Ma come fa?
B: C’è chi dice fortuna.
I: E lei che dice?
B: Dico che un po’ d’abilità ci vuol sempre, la buona stella non è eterna.
I: Ed in questo momento pensa la sua buona stella goda in buona salute?
B: Le ricordo che mia sorella ha un fratello idiota. Il suo unico fratello.
I: Ci racconti un po’ di più su questa storia.
B: Guardi, il primo a non saperne niente sono proprio io.
I: Cioè?
B: Io non so perché sono un idiota. Lo sono, e basta. Semplice quanto paradigmatico.
I: Quindi nessuna spiegazione, nessuna motivazione, nessun perché?
B: Esatto.
I: Non le pesa tutto questo?
B: Perché dovrebbe?
I: Se l’accusassero d’un crimine, non vorrebbe saperne un po’ di più?
B: Sì, certamente. Ma in fondo ho capito da solo cos’è che ha scatenato tutto questo.
I: Sul serio?
B: Sul serio. La colpa è tutta del telefono.
I: Un telefono?
B: Ho rifiutato una chiamata, né più, né meno.
I: Scusi, ma ci sembra poco convincente.
B: Posso dirle che raccontare la verità è un brutto vizio che non mi passa mai.
I: Suvvia, una cosa del genere può capitare a tutti.
B: Il telefono, la chiamata, sono il pretesto. Il bello è scoprirne i retroscena.
I: Una brutta storia?
B: Quasi. Soprattutto per una cosa.
I: Che cosa?
B: Non aver recitato la tragedia greca. Finti pianti, finti rimorsi, quella roba là.
I: Ma come? Lei, una persona di specchiata morale, che fa la parte di un vile ipocrita?
B: E’ la moda, e pare che funzioni.
I: Quindi era sua intenzione chiedere scusa per il suo gesto, anche se, diciamo, non sinceramente?
B: Tutt’altro. L’intenzione era quella di dire la mia.
I: E la tragedia, quindi?
B: Sarebbe stato un modo come un altro per salvare il salvabile.
I: Lei è proprio una brutta persona, sa?
B: Mi fa piacere aver tanta compagnia.
I: E come ci si sente ad essere parte d’una comitiva del genere?
B: Male. Non ci sono poi così tanto abituato.
I: Eppure lei non è un novellino in fatto di cattive compagnie.
B: Verissimo. Ma solitamente le metto da parte rifiutando chiamate.
I: Si parlava di retroscena.
B: La paura è uno di questi.
I: Paura di cosa, signor Black?
B: Paura di me, del faccia a faccia?
I: Non le pare di pretendere lo scettro della verità assoluta?
B: Per carità. È un’arroganza che lascio ben volentieri ad altri.
I: Ed allora? Perché sua sorella dovrebbe aver paura di quel che lei vorrebbe raccontarle?
B: E lo chiede a me? Lo chieda a lei, semmai, visto che mi evita ormai da due mesi.
I: Ne è deluso?
B: Onestamente?
I: Onestamente.
B: No, non ne sono deluso.
I: Ci sembra poco sincero, “onestamente”.
B: Non provo delusione perché tutto era previsto.
I: Quindi lei sapeva già da principio di questo improvviso mutismo?
B: Ovvio.
I: Legge forse il futuro?
B: No, e, se devo dirla tutta, non credevo le cose sarebbero andate esattamente così.
I: Aveva previsto una direzione diversa per il suo destino?
B: La meta sarebbe stata la stessa, un po’ come se tutte le strade puntassero là, ecco.
I: Come è arrivato ad una simile conclusione?
B: Bastava pensarci un po’ su.
I: E lei lo ha fatto.
B: Non era difficile, e nemmeno troppo impegnativo.
I: Però era un pensare sofferto.
B: Questo sì, ma le persone vanno e vengono su questo enorme palcoscenico, inutile trattenerle.
I: Non le sembra un ragionamento un po’ cinico?
B: Assolutamente. Va via solo chi vuole andar via.
I: E non le dispiace che qualcuno vada via?
B: C’è chi merita più di altri.
I: C’è un dispiacere particolare che la tormenta ancora oggi?
B: Sì.
I: Qualche indiscrezione?
B: Aveva un’anima, questo dice tutto. Un’anima bella e sincera.
I: Il nome?
B: Non ha importanza.
I: Magari ci sta leggendo.
B: Non credo legga più qualcosa di mio.
I: E questo per lei era importante? Che la leggesse, intendo.
B: Sì, ma non solo. Leggeva, e capiva. Mi creda, non è da tutti.
I: Le manca molto?
B: Sapeva farmi sentire veramente speciale, ma forse mi manca in modo eccessivo.
I: In modo eccessivo?
B: Anche lei non è esente da colpe e da crisi di infantilismo acuto.
I: Come sua sorella.
B: Cosa vuole che le dica? La storia si ripete, a volte. Con me succede sempre.
I: Ci sembra di capire che i suoi errori si ripetano molto spesso. Non è così?
B: Esattamente.
I: Pensa sia dovuto alle sue deficienze?
B: Sbagliare è umano.
I: Ma perseverare è diabolico.
B: Credo mi manchi solo un forcone per diventare il Belzebù del terzo millennio.
I: Mania di persecuzione?
B: Ho un po’ il mondo contro.
I: Sempre a causa sua?
B: Più o meno.
I: Quanta fiducia ha in sé stesso, oggi come oggi?
B: La fiducia di sempre.
I: E negli altri?
B: Ci sono altri ed altri.
I: I suoi amici?
B: Sono pochi, ma ottimi. Non come altri che conosco.
I: Dente avvelenato con qualche “giuda”?
B: Dallo stomaco in su è tutto un veleno.
I: Deduco ci siano “altri” che odia di tutto cuore.
B: L’odio è una cosa seria per la gente vera. Come l’amore e l’amicizia.
I: E lei si ritiene una persona “vera”?
B: Assolutamente no.
I: E di gente “vera”? Ne ha conosciuta?
B: Rari casi.
I: E cos’è che fa di un uomo normale un uomo “vero”?
B: Il fatto che, quelli falsi, se li conosci, li eviti.
I: Conoscere bene una persona è importante.
B: Anche il conoscerla poco è importante. Solitamente, meno conosci, più apprezzi.
I: Dice?
B: Le faccio un esempio. All’inizio, tutte le donne sembrano perfette.
I: Ma poi…
B: Poi scavi più a fondo nella loro coscienza, ed allora, o c’è il vuoto, o c’è merda.
I: Più vuoto o più merda?
B: Direi tutt’e due. Talvolta sono complementari.
I: Non sono tutte così, però.
B: Verissimo. Un grande poeta diceva che non tutte le donne fossero puttane, ma soltanto le sue.
I: E lei dà ragione a questo poeta?
B: Non lo definirei un grande poeta, non fossi d’accordo con lui.
I: Ma davvero erano tutte prostitute?
B: Le sue, non so, ma la mia ultima ex in meno di nove mesi ha avuto sei uomini. Faccia lei.
I: Legge spesso?
B: Non come una volta.
I: Come mai?
B: Sono troppo impegnato a fare niente.
I: O ad intervistarsi da solo.
B: Esattamente.
I: E questo la fa sentire un idiota?
B: No, questo mi fa sentire un cretino.
I: E’ sempre un complimento di sua sorella?
B: No, del mio migliore amico. Con l’impercettibile differenza che lui ha sempre ragione. Sempre.
I: Proprio sempre?
B: In otto anni non ha sbagliato una volta. C’è chi in un anno ha sbagliato migliaia di volte.
I: E magari non se n’è mai reso conto.
B: Anche questo succede sempre.
I: Chissà perché, capitano tutte a lei.
B: La mia vita è un romanzo, meglio di Topolino, sa?
I: Non ne dubitiamo, ma il tempo a nostra disposizione è scaduto. Vuole lanciare un messaggio?
B: Non date mai retta al papa.
I: Una parola per sua sorella?
B: Cinque, per l’esattezza.
I: Sarebbero?
B: Non me le ricordo più.
I: Forse lei non fa poi così tanto schifo.
B: Può dirlo forte. Ma meriterei comunque di meglio.
I: Saluti i nostri lettori.
B: Fate l’amore, non la guerra!
I: Da Catanzaro è tutto, a voi la linea studio.
 
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Street View

C’è un esatto momento nella vita in cui capisci che il tempo dei kamikaze è finito, certe cose non te le puoi permettere ed amen, e non parlo degli eccessi come l’alcol o il sesso, ma delle figure di merda, ad esempio, delle fughe spericolate, degli inseguimenti senza fine, della testa sotto i piedi, tuoi o di qualcun altro, un punto di vista che potrebbe cambiare molte cose, perché spesso ti impicchi da solo e non te ne rendi nemmeno conto.
Il senso del pilota giapponese suicida sta perlopiù proprio in questo, nel caso specifico, senza poi scendere troppo in minuzie storiche: ignorare volutamente cose che sai benissimo è il primo passo verso la (non tanto) metaforica tomba del tuo cervello, del tuo cuore o della tua anima, forse anche del corpo, ma di quello, insomma, personalmente non me n’è mai fregato niente, unghie smaltate a parte, perché è un mezzo e non il fine (se non, credo, nella morbosa curiosità delle lenzuola).
Se c’è, poi, un fine.
C’è una fine, questo è certo, ma è di là da venire (quando? come? dove? perché? parleranno di me da Bruno Vespa?), e tutto sommato non mi spaventa, e potrei dire di non aver paura nemmeno di tante altre cose, come Berlusconi, i comunisti, o la dittatura.
Mi spaventano le tipe che non riesco a comprendere ed i tizi intelligenti, semmai, e, se per mia fortuna non sono troppi (ma quei pochi offrono il godimento di un certo tormento, intellettuale e spirituale), questo implica, purtroppo, il venire quotidianamente a contatto con orde di stupidi, imbroglioni, parassiti, ipocriti e via dicendo, il che è un fastidio solamente.
Oltre a ciò, be’, mi terrorizzo da solo, a volte, non perché sia uno stregone o perché sia eccessivamente brutto, ma proprio per la mia sottile ingenuità, il “vedo ma non ci credo” o il “non vedo ma ci credo”, e giù con paradossi d’ogni tipo, genere e numero, ed il resto più o meno lo sai già, fra l’illusione ed il disinganno ci sta sempre di mezzo un qualcosa che travalica tanto l’amarezza quanto la delusione, è un odio speciale verso te stesso e verso ciò che non c’è mai stato e però volevi ci fosse.
Strana roba, ma non tanto, e chissà quante volte hai dato della puttana al tuo amore più grande.
Ecco, molte volte nel mezzo del cammin di nostra vita ci ritroviamo sulla via per la discarica, pronti non a rottamarci, ma direi piuttosto a riciclarci, siamo sempre gli stessi ma in forma diversa, ci teniamo tanto ad apparire più forti, o più determinati, o meno stupidi, eccetera, ci amalgamiamo con qualcos’altro, leggi esperienze proprie ed altrui, ed usciamo dagli altiforni sempre come bottiglie, cocci di vetro essenzialmente fragili ma nuovi ed integri, ed è tutto quel che ci serve per poter spezzarci ancora.
Non inganniamoci troppo, almeno non (anche) in questo: capiamo ma non cambiamo, sostanzialmente, almeno in determinati contesti.
Gli errori insegnano, vero, ma non tutti li notano e non tutti, quando se ne accorgono, ammettono di aver sbagliato.
Ed ora, se io ho sbagliato, se ho fatto male i conti nell’abbandonare l’economia morale, se ho chiesto un prestito o una dilazione, se non ho misurato correttamente il debito ed il credito fino all’ultimo soldo, se ho pensato ad un altro dio che non fosse il denaro, se ho cercato una logica nella banalità del dare – avere, allora è giusto rinunciare a schiantarmi col mio aereo nel tempo dei kamikaze, e col mio Zero farò soltanto un’altra gita fra le nuvole e la poesia.
Lascio, ma non rinuncio, aspetto nuove istruzioni, o forse no, attendo solamente nuove bussole e nuove rotte, nuove mappe e vecchie storie.
Il problema, in realtà, è che molto spesso quel che pretenderesti non è quel che desidererebbero gli altri, e così le ragazze ti scartano, gli amici ti inculano, i professori ti bocciano, cose del genere, insomma, anche se tu ami, hai fiducia, studi e ti impegni e ti sbatti come un batacchio nel frastuono di millemila campane.
 
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Ti Amo, Campionato!

Vaffanculo ad Ibrahimovic, che prima ci chiede di sucarglielo, e poi se ne vuole andare senza pagare.
Vaffanculo a Mourinho:  visto che non capisce una ralla di calcio, il Real è la squadra giusta per lui.
Vaffanculo all’Inter, che in Europa fa sempre cagare.
Vaffanculo a Cristiano Ronaldo, che era più bella l’acconciatura di Toldo.
Vaffanculo al Barcellona, se non vince la Coppa dei Campioni.
Vaffanculo a Vieira, un giocatore così scarso che manco alla Playstation.
Vaffanculo a Quaresma, un bidone così inguardabile da farci rimpiangere persino Solari.
Vaffanculo a Burdisso, che ancora non ha capito cosa fare nella vita.
Vaffanculo ad Adriano, i motivi sono tanti e si sanno, ma grazie per il godutissimo gol di mano.
Vaffanculo a Moratti, che pure se vince sempre brutto e scemo resta.
Vaffanculo all’Udinese, che stranamente c’ha fatto vincere uno scudetto in poltrona.
Vaffanculo alla curva del Milan, che si permette d’insultare Maldini.
Vaffanculo a Maldini, che, sì, la bandiera, il simbolo… fanculo, resta sempre un milanista di merda.
Vaffanculo ad Ambrosini, ed il perché si capisce da sé.
Vaffanculo a Berlusconi, che mi pare pure giusto.
Vaffanculo a Galliani, che non capisce mai quando sta facendo la figura dell’idiota.
Vaffanculo a Crudeli, ma in fin dei conti gli voglio bene.
Vaffanculo a Kakà, che già il papa non parla con la Madonna, figuriamoci lui con Dio.
Vaffanculo a Legrottaglie, per lo stesso identico motivo.
Vaffanculo a Tuttosporc, a Mediaserv ed a tutti i fautori della prostituzione intellettuale.
Vaffanculo a Controcampo, che di buono ha solo la Chiabotto.
Vaffanculo a Varriale, a Piccinini, a Pistocchi ed a tutti i giornalisti buoni a nulla della domenica.
Vaffanculo a tutte le giornaliste sportive, che, oltre ad essere brutte, non sanno fare manco il loro lavoro.
Vaffanculo alla F1, ora che ci sono, alla Ferrari ed a Fisichella.
Vaffanculo a Totti, al suo modo odioso di esultare, al suo non saper esprimersi in lingua italiana.
Vaffanculo a De Rossi, che sa solo fare il piagnisteo dopo le partite con l’Inter.
Vaffanculo alla Sensi, che altro che errori arbitrali, la Roma farebbe pietà anche con quelli.
Vaffanculo ai tifosi romanisti, che “non esistono negri italiani”.
Vaffanculo alla Reggina, che un po’ di sfiga per uno non hai mai fatto male a nessuno.
Vaffanculo al Lecce, che non s’è salvato.
Vaffanculo a Del Neri, antipatico quanto esaltato.
Vaffanculo a Lippi, sicuramente il miglior maestro per l’odioso di cui sopra.
Vaffanculo alla Fiorentina, che è una squadra indisponente.
Vaffanculo alla Sampdoria, comitiva di ladroni, piagnoni e simulatori.
Vaffanculo al Napoli, e soprattutto ai napoletani.
Vaffanculo a Conte, ed alla faccia di cazzo che si ritrova.
Vaffanculo al Parma, che purtroppo è già tornato nella massima serie.
Vaffanculo al Torino, che crede la sua permanenza in A sia una propria prerogativa divina.
Vaffanculo all’estate, che ci porta via le domeniche pallonare.
Vaffanculo alla Juventus, e ci mancherebbe.
Vaffanculo al Campionato Italiano, vinto dalla squadra che gioca peggio su avversarie che fanno pena.
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