È arrivata l’estate, e sai che novità.
Quando ero al liceo, e non sono passati poi secoli, ti prendeva veramente la voglia di frescura, sembrava arrivasse, finalmente, la meritata tregua dalla matematica, dai compiti a casa, e cose così.
Finiva tutto lì, l’ultimo giorno di scuola, un mezzo saluto a tutti, al banco scarabocchiato, alle sedie vuote, persino a qualche professore, e stop, arrivederci, andate tutti a quel paese, andate tutti in spiaggia, fino a settembre c’è speranza, amen, ci siamo sopportati nove mesi, ora basta.
Oggi, invece, non riesco a trovare una pausa fra il prima ed il poi, i libri, le idee, i pensieri, i dubbi, i visi, tutti sotto l’ombrellone, alé, la buona compagnia, ricordo solo che una volta non era così, provo a lottare, mi arrendo, ho perso.
Qualche Ferragosto fa, davvero, non ricordavo proprio di esser parte di una classe, per quanto bella e scalcinata che fosse, non pensavo minimamente che esistesse una cosaccia inutile chiamata matematica, mentre adesso, seppure sia ormai in pausa forzata da mesi, continuo ad essere uno studente universitario aquilano a tutti gli effetti, gradi, oneri, onori ed annessi e connessi, nella buona e nella cattiva sorte, in salute e in malattia, a gennaio come a giugno come a novembre, finché laurea non ci separi.
Poi diventa pure peggio, ma non ci voglio pensare, non ora, almeno.
Per smuovere un po’ le acque stagnanti (putride?), comunque, tutto questo può variare, ma mica tanto, certe facce (soprattutto quelle di cazzo) non le scordi, certi frasi ti girano nel cranio e non vogliono uscire né dalla bocca, né dalle orecchie, né da qualche altra parte, perché il copione, alla fin fine, quello è, e quello resta, inutile che ti disperi tanto, cocco di mamma.
Anche con la fidanzata nuova di zecca, o con la macchina nuova che hai usato per acchiapparla, o con il portafogli gonfio, se sei scemo, se sei bestia, se sei inquieto, se sei bello, se sei qualsiasi cosa, una troia, una merda, che ne so, definitevi, un qualcosa_random andrà benissimo, non hai trovato la bacchetta magica, puff, i topini e Cenerentola. O inizi a camminare, di buon passo, fino all’affanno, per cambiare sul serio la testa che ti ritrovi, o resti al palo. Sempre. Per i miracoli ci vuole un bel po’ d’allenamento, altrimenti crescerebbero sugli alberi.
Bella storia, eh?
Ci credo, non ci credo?
Ma che t’importa, se per te sono sempre lo stesso, e può anche darsi che sia vero, qualche mese fa avevo i capelli lunghi, ora no, ora ho il fegato, il cervello ed il cuore spappolati, proprio come ieri, e proprio come ieri sembro non imparare mai dai miei errori, e cerco ancora le arance sul fondo del mare. Visto? Uguale, uguale, uguale. Identico. L’equazione è facilissima, non sforzarti nell’immaginare qualcosa di diverso, come faccio io, che appiccico etichette nuove a destra e a manca, oh, mannaggia a me ed a quando cambio idea, troppo, troppo spesso. Ma è così bello, che vuoi farci?
E sempre così, e colà, e coca-colonization, che è l’unica cosa simpatica mai imparata in vita mia, fra un disco e un fischio, fra incendi e vecchie fiamme oramai spente, sole, mare, finti turisti, finte vacanze, il posto è sempre lo stesso, solo qualche abuso edilizio in più, il periodo pure, effetto serra permettendo, ed io sono cambiato, sì, pure quest’anno, o almeno credo, ho altre trecentosessantacinque tacche sulla pelle, prigioniero dell’isola misteriosa, prima incasinato, adesso forse anche di più.
Ora è tutto un casino, in questo casinò.
Ho puntato sul cavallo sbagliato, quello terremotato, lo so, ed ora che son libero da quell’ingombro altrui che l’anno scorso mi soffocava (o erano le mie mani a serrarsi intorno al mio collo? Lo so come vanno certe cose) faccio a pugni col mio, di mondo stupido e strano, io che son piccolo, magro, smunto, quasi, vero, ma pesante, tanto, e sono persino ingrassato, a forza di non saltare pasti, il cioccolato per intenerirmi, addolcirmi, zuccherarmi, e le piadine che mai più mangerò, perse nella notte dei secoli della mia dieta incivile, sepolte nel banco frigo della Coop del Torrione.
Fa male? Cosa? Il cibo, il ricordo, o tutto il resto?
La Coop, in fin dei conti, non dimenticarlo, sei tu.
Che strazio, se di panini scazzati non mi sazio, se non ho scuse da inventare per cose stupide evitare, se le rime hanno poco senso, come tutte le altre righe, come ogni singolo giorno, non c’è più un “lì” invalicabile dove ho spedito la mia vita, dove io faccio il giudice, il presidente del consiglio, il poliziotto, il senatore, il papa e l’eretico. Manca un lavandino dove buttare la cicuta, lo scudo per parare qualche freccia, un lontano dove starsene beatamente alla larga da qualsivoglia cosa non vada a genio.
Va bene, ok, non sarà molto maturo tutto ciò, anche se, insomma, paragonato a certi altri frutti tanto acerbo non pare proprio, però, oh, certe cose ti infiacchiscono subito, ti tritano le palle e le mettono nella macedonia, ed allora perché sorbirsele per forza? Ora vi faccio contenti, mentre scoppia il cervello, sfoggiando virtù, e mi esibisco in virtuosismi della santa, benedetta pazienza, così per il prossimo sandalone su Ercole sarò pronto, sarò protagonista, sarò totalmente scoglionato, ma anche no, sarò forte, giusto?
Ecco, alla fine potrei dire sia sempre il solito b-movie, avvilente, squallido, alienante, noioso, monotono, ripetitivo, ma non è così, davvero, a parte i chili in più sono cambiate tante cose, oltre al perdere ed all’aver perso, potrei dire sia sempre il solito film, stessi personaggi, stesse situazioni, rimontato in maniera diversa, ed invece no.
Qualcosa di diverso c’è, non è proprio stessa spiaggia stesso mare, abbiamo un fiocco rosa ed uno azzurro nelle scale di questo condominio di periferia, e mi piace l’idea di questa vita che nasce e che cresce nella più completa ingenuità, ed a me mancano i tumulti dell’animo, le domande senza risposta, i sogni assurdi, scarseggia persino la delusione, mi entusiasmo per niente ma non vado mai fino in fondo, altro che incapace, o artista, proprio non voglio, forse ho voglia di lasciare aperta ogni via possibile, e non muovo foglia, assorbo tutto e tutto passa, a colpi di spugna e di rabbia e di cancellino, come al liceo, e non trovo un filo logico per tutto questo, se non il sapore dolciastro e velato dell’amarezza.
È arrivata l’estate, passerà.